La Caporetto economica. Il Documento di Economia e Finanza varato dal governo

Va riaperta una stagione per le riforme

di Saverio Collura

La crisi che viviamo dal 2008 può avere un impatto duraturo e profondo sul potenziale di crescita dell'Italia. Con queste parole forti del Presidente del consiglio Mario Monti si può efficacemente fotografare la grave situazione che attraversa il nostro paese. Oggi l'Italia non solo ha visto ulteriormente aumentato il divario negativo nei confronti dei suoi principali competitori, ma addirittura evidenzia uno scostamento rispetto agli obiettivi indicati nel progetto "Strategia Europa 2020” maggiore di quello esistente nell'anno di definizione del documento. Bastano pochi, ma estremamente significativi, indici macroeconomici e finanziari per evidenziare quanto detto. Infatti il Pil nazionale attuale è ancora al di sotto del corrispondente valore pre-crisi di circa cinque punti, lo stesso dicasi per il Pil pro capite; il divario economico e sociale tra Nord ed il Sud del paese si è accentuato in modo significativo; la produzione industriale ha recuperato solo il 20% dell'ammontare della perdita accumulata nel biennio di crisi acuta; il numero degli occupati segna ancora un decremento di circa 600.000 unità rispetto all'anno di maggiore volume. Ancora, il reddito disponibile delle famiglie, in termini reali, si è ridotto di circa il 4%, con la conseguenza che è aumentato il numero delle famiglie in stato di maggiore povertà. Sono questi tutti dati attinti dal DEF 2012.
I repubblicani condividono il giudizio recentemente espresso da Monti, quando dice che le forze politiche hanno nascosto al paese che non si poteva mantenere uno standard di vita sociale al di sopra del livello di ricchezza prodotta. Riteniamo con franchezza che nel “panel” indicato dal premier non possa essere inserito il Pri, che, anzi, da sempre, ed anche con il suo ultimo congresso nazionale del 2011, ha denunciato questa grave anomalia, che prefigurava la “Caporetto economica”.
In questa cornice e con questi riferimenti si colloca e va valutato il Documento di Economia e Finanza, varato di recente dal governo ed in discussione al Parlamento.
Diciamo subito che i repubblicani condividono (è capitato molto raramente) la diagnosi e gli obiettivi strategici fissati dal governo nel documento in questione, e soprattutto considerano sufficientemente attendibili i dati macroeconomici ipotizzati, che indicano il raggiungimento del pareggio di bilancio sia in termini correnti (-0,1% del Pil nel 2014), che in termini strutturali (+0,6% del Pil nel 2013), e che tale risultato si possa mantenere nel tempo. Analogamente dicasi per l'avanzo primario strutturale, che evidenzia una forte crescita (+4,9% del Pil nel 2012,+6,1% nel 2013). Il dato fortemente preoccupante riguarda invece il livello del debito pubblico, che si attesta al 120,3% del Pil (123,4% se si contabilizza l'impegno finanziario richiesto all'Italia per sostenere gli obiettivi sottoscritti in sede UE), nonché l'elevato livello previsto per la pressione fiscale (45,1% del Pil). Ma mentre il debito pubblico evidenzia un possibile trend di decremento (110,8% nel 2015), la questione della pressione fiscale non vede al momento un'adeguata strategia del governo per incidere sul dato in questione. Tutto ciò crea la situazione di recessione in atto, con i riflessi dal punto di vista della perdita di competitività e della crisi occupazionale, che, se non adeguatamente e tempestivamente gestita, potrebbe degenerare in una situazione di depressione economica.
Non potendo utilizzare, ovviamente, la leva di bilancio, non resta altra via che l'attivazione di un significativo e consistente piano di riforme strutturali, nonché una convinta ed incisiva politica di tagli della spesa pubblica. Purtroppo, per entrambe le due questioni, il governo non sembra aver maturato un'adeguata strategia operativa, in grado di produrre gli effetti positivi nella misura necessaria al conseguimento dell'obiettivo; o almeno così appare, osservando l'attività e i provvedimenti del governo, il quale forse risulta condizionato dall'orizzonte temporale limitato a sua disposizione (febbraio 2013).
I benefici attesi dai provvedimenti già approvati dal Parlamento sono stimati dal governo in un incremento (aggiuntivo rispetto all'insufficiente trend naturale) del 2,4% del valore del Pil al 2020 rispetto al valore del 2011; mentre per quanto riguarda gli effetti della spending review, già avviata dal governo, le previsioni ufficiose indicano una possibile riduzione di spesa non superiore ai 3-5 miliardi di euro. E’ evidente che con queste prospettive non sarà possibile realizzare una riduzione della pressione fiscale, né una consistente riduzione del debito; e quindi nessuna speranza di rilancio dei consumi interni e di incremento occupazionale. Con queste considerazioni, convengono la Banca d'Italia, la Commissione Europea, il FMI ed i principali osservatori economi.
E’ per questo che noi riproporremo, nei prossimi giorni, al presidente del consiglio le nostre proposte in materia di riforme strutturali e di gestione della spesa corrente, messe a punto con le tesi congressuali e con la lettera del segretario nazionale del Pri al professor Monti. Ci sentiamo confortati in ciò dalle simulazioni effettuate dall'ufficio studi di Confindustria, che indica, a fronte di un adeguato e consistente piano di riforme, una crescita annua del Pil, nei prossimi 20 anni, di oltre il 2% all'anno, con effetti analoghi sulla evoluzione positiva del Pil pro capite. Il dr. Salvatore Rossi, vicedirettore generale della Banca d'Italia, con riferimento al problema della gestione della spesa pubblica, esprimeva l'auspicio che si potesse da parte del governo “valutare l'adeguatezza di ciascuna spessa indipendentemente dal suo livello storico (zero based budgeting)”; ciò che anche noi indicavamo nella nostra tesi congressuale, ritenendola la tecnica più efficace e più adeguata per incidere sul bilancio statale dell'Italia, che rispecchia sostanzialmente le impostazioni di un secolo addietro. Analoghe considerazioni svolgeva un acuto editorialista del “Sole 24 Ore” (Luigi Guiso), quando scriveva (a proposito della spesa pubblica): “ma il vero obiettivo deve essere quello di ridurre stabilmente e sostanzialmente il numero e l'entità delle voci di spesa nel settore pubblico”.
Ci sembra, ancora, che l'esigenza di ridurre il peso delle tasse, ed in particolare il cuneo fiscale per le imprese, i lavoratori e i pensionati, abbia oltre che un valore economico in sé, anche una valenza politica e sociale. Infatti, se i contribuenti onesti percepiscono chiaramente che il recupero dell'evasione fiscale, che può comportare anche difficoltà concrete, si trasforma in una riduzione delle loro tasse, sosterranno ed accetteranno con convinzione la politica del governo: si creerà così il vero conflitto di interessi, che è la reale molla che sostiene da sempre la lotta all'evasione.
Per tutto ciò, auspichiamo che il governo Monti, che riscuote la fiducia del Partito Repubblicano, voglia creare le condizioni affinché il progetto di salvataggio, di crescita, e di rinnovamento dell'Italia sia incanalato su un binario vincolato e di non ritorno, che possa impegnare anche i governi del prossimo futuro.

Roma, 26 aprile 2012